Scrivere di uno scrittore amico al quale avevi promesso la recensione di un suo libro e scoprire che quel libro l’hai dimenticato sotto una pila di altri libri non letti ti trovi disarmato . Se poi vieni a sapere che l’amico nel frattempo se ne è andato all’infinito, lascio immaginare il turbamento, anche perché l’amico, era persona estremamente discreta, non ti aveva mai “rotto” , ma me lo aveva fatto avere con una dedica: “Caro Aldo, sono Ottanta” E sotto: E’ ora di tornare indietro/ di girare la bicicletta della vita / verso il punto di partenza / verso l’origine del viaggio/ la casa base di tutto”. Firmato: Ernesto Paolo Lizziero.
Paolo lo avevo conosciuto parecchi anni prima al rondò di Sesto San Giovanni, alla Libreria Tarantola, dove ero solito passare i miei intervalli di lavoro. Lui si faceva una passeggiata da Cinisello, a verificare come andava “Confini”, la rivista di cultura che aveva fondato e dirigeva. Da Tarantola avevamo fatto poi comunella con Gianfranco Grechi, un raffinato scrittore cremasco, che alla Biblioteca Sormani di Milano era un pezzo grosso e come Lizziero pubblicava da “La vita felice” ed era in procinto di trasferirsi con l’abitazione dal Capoluogo a …appena gli avessero consegnato la villetta in costruzione. Negli anni successivi Lizziero raggiungeva Grechi in treno a Melegnano e poi, in corriera tutti e due arrivavano a Lodi realizzando quella che chiamavano la “dopolavoristica di turismo culturale”. Con loro si parlava solo d’arte, narrativa, poesia, a volte di giornalismo, di cui veniva scandagliato com’erano affrontate l’avanguardia, patrocinandola, sponsorizzandola, enfatizzandola: “Una nullità”, che non suonava però rifiuto e antagonismo, ma piuttosto una “circonvenzione del gusto”.
Lezziero se ne è andato un anno fa. Trovare oggi le parole giuste che sappiano riassumere il suo passaggio nelle vicende narrative e poetiche – col suo linguaggio chiaro, anche quando era quello usato nelle osterie o quello in dialetto polesiniano usato da sua madre o quello di fabbrica di suo padre – reso semplice, umano, privo di trabocchetti pretenziosi, senza servire teorie astratte – costringe noi a vedercela con confusione tra la scrittura e i ricordi di quegli incontri in cui i valori della letteratura e dell’arte sostenuti da Lizziero si perdono in un gioco di valori e discorsi sociali e mediatici.
Da la part de me mama, è un suo libro di poesie , in dialetto ferrarese, con la presentazione di Giampiero Neri dal Bagatt di Bergamo e successivamente ripreso da La Vita felice, come Un verso Un urlo Una Parola. Sono due raccolte in cui si rtrovano il ritmo quotidiano del lavoro e le voci di strada. Come nei racconto oubblicati da La vita felice: Julie e Amelie, Voci di strada, Nuovi racconti della Bettola, libri di amori femminili, di liti, di sentimenti e storie umane, ricche di nomi femminili.”Pretesti”.
Lezziero scriveva di piccole cose, di tante storie appena accennate ma piene di vita. Parlava di incontri, del clima sociale, del Polesine, della madre, del padre, del figlio Mario, delle rivencazioni del lavoro.
Come narratore e poeta è rimasto ai margini , ma non ha mai smesso di poetare, raccontare, scrivere, di parlare di gente nelle case o in metropolitana, al Rondò di Sesto, nei circoli bocciofili o in quelle di partito che alimentavano la sua immaginazione.
Aldo Caserini