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GIULIANO MAURI: ARCHITETTURE DELL’IMMAGINARIO

MAURI Giuliano (foto) 2“Architetture dell’immaginario”, che la Triennale di Milano dedica a Giuliano Mauri all’ex chiesa di San Cristoforo, fa parte di un “viaggio” rappresentato da undici mostre di architettura, arte e design messe in piedi dall’istituzione per Expo 2015. Costituisce un esempio di forme e strutture che traducono – non già nel senso di mera strumentalità esterna ed occasionale – l’idea di artisticità coltivata dall’artista, in cui si ritrovano l’essenza naturale, storica e culturale di un’arte coltivata riacquistandone il vigore problematico all’interno di una visione d’architettura e di scienza fenomenologica.
L’inaugurazione ha richiamato allo spazio di via Fanfulla il pubblico delle migliori occasioni, dagli esponenti dell’Istituzione milanese (Andrea Cancellato, direttore della Triennale) a rappresentanti della cultura (Gino di Maggio della fondazione Mudima) a personalità dell’amministrazione provinciale (Mauro Soldati) e cittadina (il sindaco Simone Uggetti, gli assessori Andrea Ferrari e Giuliana Pozzoli) a galleristi amici dell’artista (Jean Blanchaert). L’ottimo allestimento (curato da Studio Azzurro e dalla nipote di Mauri, Francesca Regorda) su progetto di Fabio Cirifino e Laura Moncolini) mette in luce con energia le pecualiarità e il cifrario estetico dell’autore, morto sei anni fa. Quella offerta – in attesa della Cattedrale – è un’occasione per riavvicinarsi all’opera dello scultore e abbattere i resistenti muri della diffidenza (e della retorica).
Codici, Tessuti, Accumuli, Bozzoli, Spirali, Anfore, Cornucopie, Isole vaganti, Barche sospese, Ombre, Nidi, Soli. Case della memoria eccetera, raccolti e ordinati per argomenti e soggetti (Culle per oliere e poetiti, Tele e azioni al vento, Bosco, isole e zattere, Osservatori e Ponti, Codici acquatici, Colonne e cattedrali) mettono in campo un particolare sistema segnico, una presentazione di valori fruibili anche in perfetta consumazione percettiva, sottraendoli a quelle teorie che dogmatizzavano l’arte in natura. Mauri tiene insieme il saper fare e la poesia, la manualità e l’idea, le preposizioni emotive e quelle razionali, i simboli estetici descrittivi e i simboli estetici normativi. L’esperienza artistica condotta, con i suoi livelli interagenti intuitivi e operativi, trovano nell’esposizione resa possibile dalla Triennale e dal Comune di Lodi una ricostruzione interpretativa e una riflessione unitaria. Le architetture di Mauri, attraverso l’immaginario si collocano all’interno di una cultura della natura, dove la natura non è solo il paesaggio da ammirare, ma la filosofia, il perimetro del mondo umano vivibile. E, dove acquisisce significato il superamento da parte dell’artista di quell’allineamento politico e formale sessantottino, Spadari, De Filippi, Baratella, Mariani eccetera, nunzi del “mito della contestazione” e delle lotte politiche legate agli avvenimenti di quel tempo (in mostra rappresentate dai teli); e la scoperta di altri “temi”, il muoversi verso una consapevolezza sdogmatizzata e una poetica che non esclude estensioni estetiche.
In queste sue scelte Mauri si è mosso da solitario. Ha mandato, a farsi benedire i generi “imposti”, le strutture espositive esistenti, mettendosi a praticare un’arte povera che “si situa nella natura”;;, un’arte che aveva ( è bene ricordarlo), assertori e antesignani gli artisti svedesi e finlandesi dell’arte nordica e svizzeri dediti a trasformare le zone boscose in una sorta di contro-mondo, mettendo a confronto le contraddizioni culturali e l’eterno conflitto tra il razionale e l’irrazionale del nostro secolo.
Delle tante operazioni (anche di dubbio significato ) che hanno attraversato la Ecologic Art , l’arte di Mauri si distingue sia concettualmente che nei risultati.
Personaggio di talento poetico, ha praticato con devozione un’arte non da appendere (salvo alcune eccezioni), fatta di vimini, canne, paglie, bambù e di ogni altra vegetazione flessibile, situata “nella natura”. Negli ultimi anni, prima che il male lo aggredisse, ha raggiunto con l’elevata manualità una percezione dello spazio e uno sviluppo immaginativo che lo hanno differenziato dai troppi pronti a sposare una qualsiasi moda, anche ecologica

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ENRICO BAJ A CREMA, L’ARTE CONTRO L’INQUINAMENTO DELL’ARTE

Mostra di Enrico Baj alla Sala Cenno di Crema: I Totem

Mostra di Enrico Baj alla Sala Cenno di Crema:
I Totem

Scelgono alto e scelgono bene la Popolare di Crema e l’ Associazione per il territorio – nelle persone di Piero Ferrari, responsabile commerciale della Popolare di Crema del Banco Popolare e Giorgio Olmo, presidente della Associazione Popolare Crema -, che hanno valutato di sostenere al Museo civico di piazza Winifred Terni de Gregory a Crema con una antologica retrospettiva di Enrico Baj. Inaugurata venerdì alla presenza del sindaco Stefania Bonardi e della vedova dell’artista, Roberta Cerini, che è anche intervenuta a ringraziare, l’esposizione ha raccolto prontamente l’interesse di centinaia e centinaia di milanesi, cremonesi, lodigiani e bergamaschi, offrendo dimostrazione di cosa significa “fare cultura” per lo sviluppo di una città. Il progetto affidato all’allestimento di Gianluca Grossi e Vincenzo Capelli, sostenuto dall’ assessorato alla Cultura di Crema condotto da Paola Vailati è entrato a far parte di un disegno volto a promuovere il Museo di Crema e a fargli assumere un ruolo protagonista nella vita culturale ed artistica cittadina”, con una ambizione in più: quella di diventare presto un polo di richiamo territoriale e comprensoriale. Con il territorio (cremasco, lodigiano, milanese) Baj ha avuto un sempre rapporto simbiotico. Artista di grande successo in vita, autore di cicli figurali di straordinaria efficacia – il periodo nucleare, dei generali, delle parate militari, dell’anarchico Pinelli, dell’apocalisse, del Day after e dell’apoteosi del Kitsch, per citarne alcuni – è stato amico del pandinese Piero Manzoni col quale fondò con Lucio Fontana nel 1954 il Movimento internazionale per un Bauhaus immaginista e l’anno dopo diede vita alla rivista “Il Gesto”. Nel 1957 pubblicò il manifesto Contro lo stile, sottoscritto da vari esponenti dell’avanguardia internazionale Dopo la sua morte intervenuta il 16 giugno 2003, una grande retrospettiva coinvolse diverse sedi milanesi (Spazio Oberdan, Accademia di Belle Arti di Brera, Galleria Giò Marconi, Fondazione Mudima), ma negli ultimi tempi l’interesse del “sistema” si è andato affievolendo. La mostra cremasca, che rimarrà aperta fino al 7 gennaio prossimo costituisce, per questo, un momento importante di “recupero” o di “riacquisizione” d’interesse di un artista che, in vita, ha combattuto contro le varie forme di totalitarismo e contro le devastazioni e gli inquinamenti dell’arte che recano spesso il sigillo degli uffici competenti.

ENRICO BAJ: "Guermantes"

ENRICO BAJ:
“Guermantes”

L’esposizione delle sue opere è suddivisa in due sezioni: una dedicata alle Donne fiumi e allestita nella sala Agello e da spazio a opere che Baj ha realizzato con tubi tubi, rubinetti e sifoni e che rappresentano personaggi idraulici, contrassegnati da nomi femminili di fiumi, Dordogna, Vistola, Gironda ed altri ancora, in cui la donna è raccontata come un fiume, che quando si innamora appare in piena e quando straripa fa, ovviamente, danni.; l’altra, alla sala Pietro da Cemmo, raccoglie invece una serie di totem, che sono, praticamente, il seguito delle sue maschere tribali. La presenza di tatuaggi ha un significato preciso: sono il segno della fatica che la società ha la società nell’identificarsi col “pensiero” e quindi della sua ricerca di un “qualcosa” a cui tenersi forte. E’ una mostra di alto livello, che serve da deterrente a risvegliare lo spirito del gregge, è una mostra ricca di immaginazione e fantasia, di aggressività, di invenzione visiva e tattile di forme, personaggi e oggetti nati dalla fantasia dell’artista e destinati alla fantasia dello spettatore.

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