Traduzioni: “L’ Alphabet du monde” di Amedeo Anelli


La situazione della poesia nel nuovo millennio è particolare, procurata dalla assenza di poetiche “impegnate” o militanti, e non perché manchino problemi e occasioni da capire o tradurre in una cornice poeticamente adatta a recepire quanto avviene nel mondo, nella società, nella cornice ambientale, singolare e collettiva,  da rifletterne il mutamento e dare spazio in versi ai dubbi, alle idee, alla costruzione di apporti e a nuove visioni. L’impressione, parliamo in generale, è difficile da rubricare anche perché è difficile, col disimpegno della critica,  considerare qualità e importanza letteraria circolante. Ognuno cerca di fare storia a sé. Ed è forse qui che andrebbe cercata la frattura epocale della poesia, ridotta a “casi singoli”, da farle perdere la sua forza di persuasione.

L’Alphabet du monde oltre essere il nuovo titolo del libro di poesie di Amedeo Anelli pubblicato dalle Edition du Cigne  (Parigi, giugno, 2020, € 10), inseriscono l’autore lodigiano in una “collection” di scrittori spagnoli, colombiani, irakeni,  brasiliani, islandesi, canadesi, messicani, statunitensi ecc. Non un generico mondo di poetanti, ma una selezione di autori attenti alle insidie che vengono da certe banalità sentimentali o dall’inventare un linguaggio che già c’è (da tempo).

Quella portata a compimento da Irène Irène Dubœuf è la seconda traduzione in francese della poesia di Anelli. Fa seguito a Neige pensée,pubblicato dalle edizioni Ticinum qualche mese fa con in copertina un’opera di Gino Gini, autore ben noto ai lodigiani, mentre la nuova “couverture” – Virus musical n.35 – è stata creata da sua moglie Fernanda Fedi, due apporti che si coniugano perfettamente con la costruzione poetica del direttore di Kamen’.

Poeta e critica letteraria la  Dubœuf oltre al avere tradotto Amedeo Anelli, ha fatto conoscere ai francesi altri poeti italiani, noti ai lodigiani: l’estroverso Luigi Carotenuto (uno che legge e scrive per “sopportare la vita”), la dolente, nel linguaggio, Margherita Rimi ( presentata da Oldani nella collana di poesia di Mursia, poeta originale che rielabora il linguaggio dei minori espressione di esperienze traumatiche), Massimo Silvotti ( poeta piacentino, creatore del Piccolo Museo della Poesia) ha premesso alle cinquanta paginette di versi raccolti ne L’Alphabet du monde, suddivisi in due sezioni – Contrapunctus, diciotto testi in omaggio all’arte della fuga di Jean Sébastien Bach, già usciti per LietoColle una decina di anni fa e  L’Alphabet, una quindicina di dedicazioni a conoscenti (Rimi, Cesari, Mazzon, Fedi, Gini, Conti, Angiuli, gli Amici lodigiani) e al fratello Guido defunto, che conferiscono una curvatura di affetti e simpatie ai versi del codognese.

Il  fresco volume mette di nuovo in luce le qualità della Dubœuf traduttrice, attenta  nell’ essere “la plus proche possibile” all’autore, alle strutture della sua scrittura e fedele nel restituire “la tonalità et la dimension rythmique”.

Preposizioni quali la natura, le stagioni, la terra, il futuro creano un confronto con l’uomo, la vita, il presente e il passato, garantendo rapide illuminazioni che proiettano il dialogo oltre le percezioni autobiografiche. La Dubœuf interpreta tutto in modo convincente, acuto e sottile, ne interpreta con freschezza e convinzione la tradizione e la filosofia. Il suo è sostanzialmente un invito alla buona lettura e a collezionare l’opera.

Aldo Caserini

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