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GIAN GIACOMO BARBELLI E IL BAROCCO CREMASCO

ELEMENTI DI INTERPRETAZIONE

DALLO STUDIO DI MARIO MARUBBI

Ci sono voluti  secoli per mettere un po’ d’ordine nella attività di Gian Giacomo Incrocco, detto Barbél, poi regolarizzato Barbelli, nato a Offanengo nel 1604 e morto a Calcinato nel 1656, considerato a ragione il più grande e prolifico pittore del Seicento a Crema. La ripresa d’interesse attorno alla sua figura si deve alla  uscita di un ricco catalogo ragionato, realizzato dalla SCS di Crema, e alla recente esposizione al pubblico del ciclo “Episodi della vita di S.Giorgio e Santi” proveniente dalla chiesa di Cataletto Vario sulle cui vicende storiche ha intrattenuto Mario Marubbi.
Il volume permette, tra l’altro, di seguire il percorso della critica attraverso le sintesi asciutte e ben documentate di Giuseppina Colombo e una agevole analisi qualitativa del disegno barbelliano di Annunciata Miscioscia. Due interventi che sono di idoneo arricchimento all’approfondimento di Mario Marubbi, che introduce elementi di conoscenza e interpretazione nuovi e ne fa, soprattutto, qualcosa di vivo.
Dai riscontri critici di Domenico Zanese a quelli dell’erudito Calvi, via via fino a Roberto Longhi e a Mina Gregari è stato un grande inventariare  opere di Barbelli, spesso a lui attribuite attraverso tracce popolari o intellettualismi di maniera. Solo cogli anni Ottanta si è avuta a disposizione una trattazione cronologicamente ordinata, che ha favorito ulteriori indagini ( base per ulteriori ritrattazioni) da parte di Cesare Alpini, Luciano Anelli, Pietro Ricchi, Simonetta Coppa. Il loro merito è di aver dato una collocazione non più indicativa ma eloquente dell’opera del Barbelli. La “svolta”  si è avuta tuttavia con gli interventi di Mario Marubbi, 52 anni, di Maleo, laureato in lettere con indirizzo in storia dell’arte alla Cattolica di Milano, conservatore prima a Lodi e attualmente a Cremona, alla Pinacoteca del Museo Civico “Ala Ponzone”.
La lettura stilistica del pittore di Offanengo è sempre stata ispirata a un orientamento che lo voleva influenzato dai  Cerano, Procaccini, Morazzone,  ai quali era dato merito di avergli trasferito “spirito retorico”, “sintassi del racconto”, “gusto degli scorci dell’architettura scenografica” e “facile piacere dell’affresco”. Per questo fu considerato un esponente di quel gruppo di potere milanese che operò in territori bergamasco e bresciano lasciando segni importanti della propria arte. Senza sbugiardare questa linea, ma anche senza contraddirla Marubbi sembra seguire altre tracce come quelle lasciate dal Barbelli nel lodigiano, scoperte dallo stesso Marubbi a Casalpusterlengo attraverso gli affreschi in due cappelle della chiesa di S. Antonio Abate e l’Annunciazione nella chiesa di Maleo. NellA Sua analisi egli considera con pignolesca attenzione  l’ambiente artistico cremasco tra  1600-1620 e gli sviluppi tra maniera e natura presenti nella pittura locale, influenzata da esponenti del manierismo di scuola cremonese, ma anche da alcune fisionomie precise come quelle di Gerardo Gatti e del Pombioli, che si andarono precisando come “eredità” o come “sviluppo” insieme al Barbelli.
La svolta barocca di quest’ultimo  coincide con la notorietà raggiunta nel cremese e col successo nei territori confinanti di Brescia e Lodi. La sua produzione negli anni 1641-1660,  è “ caratterizzata da una scrittura molto veloce  e dall’adozione di un facile eloquio narrativo”, cimentata su grandi pale nell’officina cremasca e dipinture di cicli murali nei paesi del territorio. Secondo la ricostruzione dello storico lodigiano, il pittore è artefice  di una fitta serie di interventi negli oratori di Montodine, Quintano, Casalpusterlengo, Casaletto Vaprio, Sabbioni, Passarera, Castellone, ecc. La sua officina in Crema si distingue per la produzione di  grandi tele, realizzate da validissimi allievi, anche se poi a  firmarle sarà lui. E’ qui, forse,  che va ricercata l’origine di tanti equivoci “passaggi” o contraddizioni di linguaggio: tra il barocco leggero e disimpegnato, una pittura a volta pomposa e magniloquente (“di stampo nuvoloniano”) se non addirittura recuperi giovanili (fondati sull’unità di pittura e stucchi).

 

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